Avv. Sara Calzolari
EUTANASIA ED OMICIDIO DEL CONSENZIENTE,TRA ETICA E LEGALITÀ
Eutanasia ed omicidio del consenziente, legati a celebri casi di cronaca e alla recente
declaratoria di inammissibilità del Referendum Eutanasia Legale, sono da sempre temi
caldi, oggetto di dibattiti nell’opinione pubblica.
Per il nostro codice penale, cagionare la morte di un uomo, nonostante il suo consenso,
costituisce reato, ed è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Di fronte a questa norma imperativa e pregnante, confermata ancora una volta dai
giudici della Consulta quale parte integrante del nostro ordinamento, ci si interroga per
l’ennesima volta sul tema dell’eutanasia: è giusto privare della libertà di scegliere se
vivere o morire, persone affette da gravi patologie irreversibili, costrette a vivere in
condizioni denigranti, nella consapevolezza di non aver alcuna possibilità di recupero? È
giusto continuare a punire le condotte di chi, in presenza di determinate condizioni di
vita, aiuti questi soggetti a porre fine alle loro sofferenze?
LA LEGGE N. 219 DEL 22 DICEMBRE 2017
Un piccolo traguardo è stato raggiunto pochi anni fa con la Legge n. 219/2017 dal titolo
“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”,
con la quale sono state introdotte e disciplinate le cosiddette DAT, che consentono al
soggetto maggiorenne e capace di intendere e volere, di poter esprimere il proprio
orientamento e le proprie disposizioni in materia di fine vita.
L’obiettivo sotteso all’introduzione della presente legge, era valorizzare l’incontro tra
l’autonomia decisionale del paziente e l’autonomia professionale del medico,
promuovendo, dunque, la relazione di cura e di fiducia tra le due parti.
Ad oggi, pertanto, ogni persona maggiorenne e capace può esprimere le proprie volontà
per quando non sarà più in grado di intendere e volere, in vista di una possibile malattia
futura e in tema di fine vita, rifiutando in anticipo tecniche di respirazione o
alimentazione artificiale o, all’opposto, prestare il proprio consenso alle tecniche di
sostegno vitale messe a disposizione dall’ars medica.
In presenza di DAT regolarmente disposte, il medico sarà tenuto a rispettarle, potendo
disattenderle solo se incongrue o con l’accordo del paziente.
Si tratta di eutanasia? No.
EUTANASIA
Che cos’è allora l’eutanasia?
Si tratta di una pratica, di un atto, volto a cagionare la morte di un uomo, in presenza del
suo esplicito consenso.
L’eutanasia attiva si verifica quando vi è un’azione attiva da parte di un soggetto.
Si considera diretta, quando è il medico che somministra il farmaco alla persona che ne fa richiesta; si definisce indiretta quando è lo stesso soggetto agente che assume
autonomamente il farmaco letale.
L’eutanasia passiva, invece, viene considerata parzialmente lecita, e consiste
nell’astenersi dal porre in essere pratiche di accanimento terapeutico verso il paziente
sofferente. Consiste quindi nella sospensione delle cure, che non possono più essere di
alcun beneficio al degente.
SUICIDIO ASSISTITO
Differente ancora è il suicidio assistito, praticato in Svizzera, dove il ruolo centrale viene
ricoperto dall’équipe medica, che prima accerta l’impossibilità di guarigione del
paziente, poi fornisce gli strumenti necessari alla morte.
Al paziente viene rilasciato un farmaco letale che induce la sedazione, per poi cagionare
la morte a causa di arresto cardiaco.
Il tutto gestito autonomamente dal paziente stesso, che preme personalmente il
pulsante in grado di mettere in circolo questo farmaco letale.
REFERENDUM EUTANASIA LEGALE E CASO CAPPATO
Il Referendum Eutanasia Legale avviato in aprile 2021, intendeva abrogare parzialmente
la norma penale ex art. 579 c.p . che impedisce l’introduzione dell’eutanasia legale in
Italia, rendendo lecita la sola eutanasia attiva, in presenza di determinati requisiti
introdotti dalla Sentenza sul caso Cappato.
Grazie a questa pronuncia, l’art. 580 del codice penale è stato riformato, in quanto ne è
stata dichiarata l’illegittimità costituzionale «nella parte in cui non esclude la punibilità di
chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 –
ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in
motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e
liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e
affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella
reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli,
sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una
struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico
territorialmente competente».
In forza di tale pronuncia, è stato adeguato il codice deontologico dei medici, che ad ora
prevede la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare, qualora lo stessa
decida di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell'individuo, il
proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona
tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile,
fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di
prendere decisioni libere e consapevoli.
La Sentenza n. 242/2019 della Consulta sul Caso Cappato - Dj Fabo, pur aprendo la
strada - a determinate condizioni - ad una procedura lecita nell’ambito del suicidio
assistito, consente al degente di procurarsi la morte assistita solo autonomamente, ma
se questo non vuole procedere da solo o non può – a causa di malattia totalmente
inabilitante – rimane escluso da questo diritto, perché, per l’appunto, l’aiuto al suicidio
rimane penalmente rilevante.
In questi casi eccezionali l’assistenza di terzi nel porre fine alla vita del paziente «può
presentarsi al malato come l’unica via di uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio
concetto di dignità della persona, ad un mantenimento artificiale in vita non più voluto e
che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, co. 2, Cost.»
Ma perché il referendum Eutanasia Legale è stato dichiarato inammissibile?
La Consulta ha motivato la pronuncia sostenendo che la piena disponibilità del diritto
alla vita avrebbe legittimato l’omicidio di chi vi avrebbe validamente prestato il
consenso, a prescindere dalla forma e dai motivi sottesi al consenso, dalle qualità
dell’autore del fatto e dai modi di cagionare la morte, oltrepassando quel limite imposto
di consentire pratiche eutanasiche solamente a persone affette da gravi malattie
irreversibili, dolori, condizioni psicofisiche intollerabili.
I giudici, nell’effettuare il bilanciamento tra interessi contrapposti, hanno ancora una
volta privilegiato il bene vita rispetto alla libertà di autodeterminazione del soggetto
stesso.
La Costituzione non definisce che cosa sia la vita, ma ne riconosce implicitamente il suo
carattere di presupposto rispetto a tutti gli altri diritti fondamentali.
Quando viene in rilievo il bene “apicale” della vita umana, ha precisato la Corte, «la
libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni
di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente
necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima» (Sent. n. 55/2022,
Corte Cost.).
BENE VITA E PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE
Ed ecco il punto focale del dibattito odierno: è giusto che il bene vita debba prevalere sul
diritto di autodeterminazione del paziente stesso?
Fino a che punto lo Stato, definendo così il principio di indisponibilità della vita umana,
può considerarsi legittimato a proteggere il bene vita di un soggetto che in primis ne
vorrebbe disporre in modo pieno ed autonomo?
La pronuncia di inammissibilità del Referendum Eutanasia Legale ha sollevato non poche polemiche, stante il forte consenso popolare all’introduzione della pratica di eutanasia attiva e la recente pronuncia costituzionale di modifica e parziale illegittimità dell’art. 580 c.p. in seguito alla pronuncia sul Caso Cappato.
Qual è la differenza tra le due ipotesi di reato?
Si parla di omicidio del consenziente ex art. 579 c.p . nel caso in cui la condotta che
cagiona la morte di un uomo sia stata posta in essere da un soggetto terzo: elemento
cardine della fattispecie delittuosa è l’accordo tra vittima e uccisore.
Se, invece, la condotta attiva viene posta in essere direttamente dalla vittima, che viene
in un qualche modo aiutata da un terzo soggetto, che gli fornisce un supporto (legale,
psicologico o logistico), si tratterà allora di aiuto al suicidio ex art. 580 c.p.
In questo caso, il legislatore intende punire l’incitamento al suicidio, il rafforzamento del
proposito suicidario o l’agevolazione dello stesso.
TRA ETICA E DIRITTO
Nel legittimare l’eutanasia, non si tratta di dare adito a pratiche estreme, che
oltrepassano le condizioni di ammissibilità dell’omicidio del consenziente, ma si tratta di
dare spazio alla libera scelta del paziente, unico vero protagonista della sua stessa vita,
del suo dolore e delle condizioni in cui si ritrova costretto a proseguire quella che per lui
non è più vita.
È doveroso ricordare, inoltre, che il diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari fa parte dei
diritti inviolabili della persona, tutelato all’ art. 2 Cost., strettamente collegato al
principio di libertà di autodeterminazione ex art. 13 Cost., e che il rifiuto è legittimo
anche quando si tratta di terapie salvavita.
Infatti, ai sensi dell’ art. 32 Cost. nessuno può essere obbligato ad un trattamento
sanitario se non per disposizioni di legge.
La volontà di rifiutare o di rinunciare consapevolmente ai trattamenti sanitari, compresi
quelli necessari per il mantenimento in vita, si presenta quale possibile esito di un
percorso informativo e comunicativo che si snoda attraverso le dinamiche del rapporto
medico-paziente.
A fronte di tali considerazioni, perché un soggetto capace di intendere e volere, affetto
da una patologia irreversibile, sofferente, ma incapace di procurarsi da solo la morte,
deve continuare a vivere?
Perché non può essere aiutato legittimamente nel suo intento?
Perché continuare a punire le condotte di chi, per amore del degente stesso, decide di
dare adito alle sue richieste e assisterlo nel delicato momento di oltrepasso?
Non si tratta forse di una forma passiva di accanimento terapeutico?
A parere di chi scrive, a fronte dei principi di laicità e liberalità insiti nel nostro
ordinamento, garantire l'etica della dignità nell'intero arco esistenziale costituisce un
valore umano primario, idoneo ad infondere nell'esercizio dell'arte medica un senso
profondo di umanità.
Garantire dignità nel fine vita significa considerare il degente una “persona”, soggetto di
diritti e doveri, capace di intendere e volere, ancora membro a pieno titolo della società,
appunto fino all'ultimo respiro, così da consentirgli quella morte dignitosa di cui tanto si
parla e a cui tanto si aspira.
Nel concludere questo pensiero, non si può non rammentare l'antica, ma attuale,
saggezza di Seneca:
“La vita, come sai, non sempre merita di essere conservata.
Non è un bene il vivere, ma il vivere bene”.
Avv. Sara Calzolari